The Truman show: parallelismo con la platform society.

The Truman show: parallelismo con la platform society.

Una critica all’intrattenimento degli anni Novanta diventa una riflessione sui media digitali di oggi.
I prodotti culturali, anche se non contemporanei, o addirittura antichi, mantengono la capacità di offrire spunti di riflessione sul presente. Un film, un romanzo o un’opera d’arte possono contenere chiavi di lettura che si rivelano attuali. È il caso di The Truman Show, un film del 1998 diretto da Peter Weir, che anticipa molte delle dinamiche legate all’esposizione pubblica, al controllo e alla costruzione dell’identità. Nato come critica al mondo televisivo e all’intrattenimento invadente degli anni Novanta, oggi può essere riletto come una rappresentazione sorprendentemente lucida della cosiddetta “platform society”.
Truman Burbank è un uomo di trent’anni che vive a Seahaven, una cittadina all’apparenza perfetta. In realtà, tutta la sua vita è una costruzione artificiale: è il protagonista di un reality show che lo riprende sin dalla nascita, all’interno di un gigantesco set televisivo. Tutto della sua vita non è reale, ma lui è inconsapevole. Con il tempo, però, iniziano a verificarsi anomalie e Truman comincia a sospettare che qualcosa non quadri. I suoi dubbi crescono, quando inizia a ricordasi di Sylvia, una ragazza che aveva cercato di svelargli la verità e che era poi sparita misteriosamente. Tra imprevisti, accadimenti assurdi e momenti di introspezione, Truman arriva a mettere in discussione l’intera realtà che lo circonda e, sfidando chi lo controlla, cerca un modo per uscire dal mondo fittizio in cui ha vissuto fino a quel momento.
Uno dei temi principali del film, quindi, è la difficoltà di distinguere ciò che è autentico da ciò che è costruito, e questo oggi risuona in modo particolare nella nostra società, dove la realtà è spesso mediata e filtrata da schermi e narrazioni artificiali. Pensiamo, per esempio, ai profili social in cui vengono mostrati solo momenti selezionati e idealizzati e che sono costruiti ad arte per rispettare certe aspettative sociali. Anche i filtri digitali contribuiscono a creare una rappresentazione edulcorata e artificiale della realtà, alimentando aspettative irrealistiche e standard irraggiungibili. O ancora, l’uso dell’intelligenza artificiale per creare notizie o immagini false, favorendo la disinformazione. Oggi, è sempre più difficile distinguere il vero dal falso sui social, e anche se per alcune persone potrebbe sembrare ovvio, altre, invece, faticano e “cascano nel tranello”.
Il film affronta anche il tema della libertà e del condizionamento, rappresentando Truman come una figura prigioniera di un sistema che limita i suoi movimenti e le sue scelte. La sua vita è sottoposta a un controllo costante da parte di Christof, il regista, che ne manovra ogni azione. In modo simile, noi ci troviamo prigionieri di un’identità, costruita all’interno di sistemi che condizionano gusti, comportamenti e scelte personali. I social media, in particolare, esercitano una forma di pressione invisibile ma pervasiva. Attraverso algoritmi che selezionano e propongono contenuti in base a ciò che “dovrebbe” piacerci, plasmano desideri e interessi. Le piattaforme suggeriscono cosa guardare, cosa acquistare, quale stile di vita perseguire, contribuendo a creare standard uniformi di bellezza, successo e felicità.
Un altro aspetto rilevante è il ruolo dello spettatore. Nel film, il pubblico che osserva Truman non è solo passivo, ma parte integrante del meccanismo che mantiene in vita lo show. Milioni di persone seguono ogni momento della sua esistenza, partecipando emotivamente alla sua quotidianità. Anche in questo caso ci sono numerosissimi spunti per una riflessione attuale. Non è la stessa cosa che avviene nella società digitale? Seguendo, commentando o mettendo like, diventiamo parte attiva della dinamica: più una persona mostra, più ottiene visibilità; più viene guardata, più viene spinta a continuare a esporsi. Il fruitore dei contenuti, quindi, non è mai innocente. Anche il semplice atto del guardare può contribuire a rafforzare questi sistemi di spettacolarizzazione della vita privata.
Per quanto riguarda le caratteristiche del personaggio, a parte il conformismo e la passività iniziale, Truman incarna anche la solitudine paradossale di chi è sempre osservato ma mai veramente conosciuto. Circondato da persone che recitano un ruolo, egli vive in una fitta rete di relazioni finte, dove l’autenticità è inesistente. Ciò avviene anche nelle interazioni mediate dai social, dove si comunica costantemente ma si fatica a costruire legami profondi. Potrebbe esserci un’illusione di intimità, ma in realtà si celano rapporti spesso frammentari e performativi. Ormai oggi è più importante avere il numero piuttosto che la qualità. Inoltre, Truman viene educato alla paura del mondo esterno e a non desiderare altro rispetto a ciò che già possiede. Questa è una forma di addomesticamento emotivo che ha un parallelo nei meccanismi odierni di fidelizzazione (mantenimento della “clientela” nel tempo) e contenimento, dove tutto è progettato per trattenere l’individuo dentro uno spazio – digitale o ideologico – che scoraggia l’esplorazione critica, spingendo a credere che “fuori” non ci sia nulla di meglio.
Il momento clue del film avviene, però, quando Truman si trova davanti ad una porta che mette in collegamento il mondo fittizio da quello reale che per lui è completamente ignoto. Per aprirla serve un atto di scelta, che rappresenta il coraggio di lasciare un mondo sicuro ma falso per cercare la verità. Anche nella nostra realtà, questa “porta” può essere il momento in cui smettiamo di seguire ciò che ci viene imposto e iniziamo a scegliere consapevolmente. Per esempio, ci sono numerose iniziative e organizzazioni volte a contrastare i meccanismi delle piattaforme, promuovendo consapevolezza e proposte di regolamentazione.
Quindi, The Truman Show resta un monito attuale sulla complessità del nostro rapporto con la realtà mediata e con le identità costruite. Ci sfida a riflettere su quanto siamo disposti a mettere in discussione le nostre certezze, a riconoscere le “finestre” di finzione dietro cui viviamo, e a scegliere con consapevolezza chi vogliamo essere, anche se questo significa uscire dalla zona di comfort. In un’epoca dominata dagli schermi e dagli algoritmi, il film ci ricorda che la vera libertà nasce dal coraggio di aprire quella porta, ogni giorno


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