C’è una categoria di sentimenti chiamata: “Non eravamo niente, ma io ci stavo sotto come se mi dovessero il divorzio.”
E Want Me di Bebe Stockwell è la canzone perfetta per quella situazione.
Per chi si è sentito desiderato solo nei momenti di noia altrui.
Per chi ha ricevuto affetto a parole e vuoto nel concreto.
Per chi ha vissuto una di quelle relazioni dove c’era tutto: parole dolci, occhiate intense, promesse mezze sussurrate… tranne l’unica cosa che contava davvero: i fatti.
È una canzone che parla di quel tipo di storie che non avevano mai un nome, ma tutti gli effetti collaterali. È da ascoltare durante le docce lente o durante quei momenti in cui si cerca il coraggio di non scrivere di nuovo a quella persona che ha sempre la risposta pronta…ma le mani in tasca.
Ma il bello è che in realtà non ti fa crollare.
È semplicemente un reminder gentile e chiarissimo per non accontentarti mai più di qualcuno che ti dice che ti ama, ma poi ti fa sentire un’opzione.
E se ti viene voglia di riascoltarla 16 volte in loop?
Fai pure.
A volte serve risentire quel dolore per misurare quanto ce ne siamo allontanati.

Catalina, 30 anni.
Scrivere è il mio modo di mettere ordine nel caos—non per cancellarlo, ma per ascoltarlo meglio. Ho sempre avuto questo debole per le parole che sanno farsi pelle, risata o graffio, e sono attratta dalle sfumature più che dalle certezze.
Amo osservare i dettagli invisibili, quelli che fanno la differenza tra una storia raccontata e una storia vissuta. Ho questa anima un po’ poetica e un po’ ruvida, e mi piace mescolare questi due lati senza chiedere troppo il permesso.
Mi muovo sempre tra ironia, vulnerabilità e pensiero critico. Ho anche un debole per i contrasti, le donne che si supportano davvero, i gatti indipendenti (e testardi quanto me), e le frasi che ti restano addosso.
Uso infatti il mio profilo Instagram come un diario visivo e narrativo. E insieme alle foto, spesso lascio poesie mie o piccoli racconti che nascono dalla mia quotidianità perché credo che anche una mattina storta, un incontro fugace o una sensazione difficile da dire a voce, possano diventare parole che arrivano a qualcuno.
E ultima cosa, per rendere l’idea del mio debole per i contrasti: di mestiere faccio la contabile amministrativa. Niente che spazi come l’arte o la poesia—piuttosto l’altro emisfero del cervello, quello concreto, quello del “non è un’opinione”. Fatto di numeri, scadenze, precisione. Più precisamente faccio la contabile in uno studio di amministrazione condominiale che gestisce circa 90 stabili. Ho anche l’abilitazione da amministratore di condominio e spesso la sera sono in assemblea. Cerco ogni giorno di rendere giustizia a questa professione, dimostrando che l’amministrazione condominiale tra gli anni ’60 e 2000 è finita da un pezzo e che esistono amministratori validi, competenti e soprattutto onesti. E che dietro ad ogni “cosa ci vuole ad amministrare un condominio?” c’è un impero di persone che lavorano oltre allo studio in questione.
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